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Massimo D'Alema

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Massimo D'Alema a Reggio Calabria

Massimo D'Alema ad Acireale

 

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Massimo D'Alema (Roma, 20 aprile 1949) è un politico e giornalista italiano, già Presidente del Consiglio dei ministri dal 21 ottobre 1998 al 25 aprile 2000, primo ed unico esponente del, già allora disciolto, Partito Comunista Italiano a ricoprire tale carica. Ãˆ stato ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio del governo Prodi II (17 maggio 2006 - 8 maggio 2008).

È stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana dal 1975 al 1980, segretario nazionale del Partito Democratico della Sinistra dal 1994 al 1998 e presidente dei Democratici di Sinistra dal 2000 al 2007.
È stato deputato per sette legislature.
È vicepresidente dell'Internazionale Socialista.
Dal 13 marzo 1991 è iscritto all'albo come giornalista professionista.
Dal 26 gennaio 2010 ricopre la carica di Presidente del COPASIR.



Biografia 

Di origini lucane (i suoi nonni paterni erano di Miglionico, provincia di Matera)è sposato con Linda Giuva, foggiana, professoressa associata di archivistica, bibliografia e biblioteconomia presso l'Università degli Studi di Siena, e ha due figli, Giulia e Francesco. È figlio di Giuseppe D'Alema, che è stato anche deputato del PCI, e di Fabiola Modesti.
Nel 2006 ha ricevuto il titolo di Cavaliere di gran croce dell'Ordine Piano. D'Alema è un caso atipico nella leadership italiana, dal momento che è uno dei pochi politici ad aver raccolto attestazioni di stima ed appoggi anche da parte di molti che, nel Paese, si riconoscono negli ideali politici del centrodestra e non certo in quelli del PD. Lo stesso Berlusconi si è più volte riferito a D'Alema come al "vero, unico avversario" che la Sinistra italiana dovrebbe contrapporgli, anziché scegliere altri. Non mancano pareri molto critici di commentatori autorevoli che ritengono che questa stima sia stata conquistata grazie alla tendenza all'appeasement con la controparte, e come questo abbia comportato risultati alquanto scadenti sul piano politico.

​Infanzia 

A causa del lavoro del padre Giuseppe, la famiglia si trasferiva spesso da una città all'altra, non di rado, molto lontane tra loro (Genova, Trieste, Pescara). La madre raccontava che con il marito si decise di non imporre nulla al figlio, soprattutto in materia di religione, ma che già a sei anni «era interessato a tutto e gli piaceva tanto qualsiasi cosa sapesse di politica».
Nei primi giorni di scuola si dichiarò ateo e non partecipò alle lezioni di religione, cominciando uno scontro con la maestra, che, a suo dire, faceva ogni giorno «la solita propaganda democristiana» e anticomunista.
Non ebbe mai difficoltà a scuola: non fece la quinta elementare e fu il primo agli esami di terza media. Secondo sua madre fu più per la spigliatezza che per una grande applicazione, dato che non studiava molto sui libri di testo, preferendovi quelli che trovava in casa e che leggeva avidamente, specie se di storia.

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Prima attività politica 

A Monteverde Vecchio era iscritto ai pionieri (associazione comunista per ragazzi e ragazze fino ai 15 anni) coi figli di Giancarlo Pajetta. Quando in quel quartiere si tenne un congresso del partito, fu scelto - aveva appena nove anni - come rappresentante dei pionieri: la madre ricorda che volle scriversi da solo il discorso per poi saperlo meglio, e che fece un'ottima figura, tanto da far dire a Togliatti «Capirai, se tanto mi dà tanto questo farà strada». Secondo altri, invece, il commento del "Migliore" sarebbe stato assai più stizzito (per la precoce maturità politica del pioniere): "Ma questo non è un bambino, è un nano!".
La sua militanza politica cominciò nel 1963, quando si iscrisse quattordicenne alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). D'Alema è sempre stato considerato un «figlio del partito», perché è cresciuto in un ambiente "di partito": il PCI pervadeva la vita dei genitori e numerosi alti dirigenti del PCI erano amici di famiglia e lo conoscevano fin dalla sua infanzia, e in seguito ha percorso tutti i gradi della militanza.
A Genova, città presso la quale frequentò il liceo classico Andrea Doria e dove il padre era segretario regionale del PCI, si occupò di organizzare il movimento studentesco nella propria scuola: ad esempio per le manifestazioni contro la guerra in Vietnam; ma svolgeva anche volontariato in parrocchia e partecipava alla redazione del giornalino parrocchiale, oltre che alle lezioni di religione (pur essendo esonerato), discutendo sempre con l'insegnante, un sacerdote.

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A Pisa 


Dopo aver conseguito la maturità classica, si trasferì nell'ottobre 1967 a Pisa, ammesso a frequentare la Classe accademica di lettere e filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dopo essersi classificato quinto all'esame di ammissione.
All'esame di ammissione conobbe Fabio Mussi, che era appena dietro di lui in graduatoria ed ebbe una camera proprio a fianco alla sua. I due fecero subito amicizia e parteciparono assieme, in posizione eminente, alle grandi contestazioni degli studenti della Normale in quel periodo: recentemente era stato espulso Adriano Sofri, per aver infranto le rigidissime regole del collegio, che vietavano, fra l'altro, l'ingresso di ragazze nelle camere.
Dopo varie occupazioni, il regolamento fu modificato con la liberalizzazione degli accessi e l'abolizione dell'obbligo di pernottamento e dei rientri a orari predeterminati. In seguito, Mussi e D'Alema rischiarono anche l'espulsione, da cui si salvarono grazie all'appoggio di alcuni professori e all'impegno mostrato nello studio.
Grazie a queste esperienze, i due entrarono quasi subito nella dirigenza locale del PCI (il cui segretario, fra l'altro, era amico del padre di D'Alema) e organizzarono molte iniziative e manifestazioni rischiando spesso il carcere e scontrandosi coi più radicali elementi di Lotta continua, che ritenevano D'Alema troppo allineato alla posizione del PCI.
D'Alema si ritirò dagli studi poco prima di discutere la tesi, che avrebbe dovuto vertere sull'opera Produzione di merci a mezzo di merci dell'economista Piero Sraffa, amico di Antonio Gramsci. Secondo l'amico del tempo Marco Santagata, D'Alema vi rinunciò per non essere sospettato di favoritismi, poiché l'intellettuale del PCI Nicola Badaloni era diventato preside di Lettere e Filosofia; sicuramente influirono notevolmente in questa scelta gli impegni politici assunti da D'Alema prima a livello locale, a Pisa, e poi, a livello nazionale, con la segreteria della FGCI.
Poco dopo entrò nel comitato federale nel partito e divenne capogruppo in consiglio comunale. In tale veste fu uno dei promotori della giunta Lazzari del luglio 1971, un esperimento inedito sostenuto da PCI, PSI, PSIUP e da una parte della DC per superare un momento di stallo e votare il bilancio comunale.
Con questo, D'Alema conquistò l'attenzione dei vertici del partito e si fece la fama di aspirante capo del partito. Tuttavia non mancarono le contestazioni della sua linea, che provocò grandi discussioni: era ritenuto un saputello presuntuoso e si temevano le sue relazioni coi movimenti estremisti. Un altro ostacolo erano i commenti moralisti sulla sua relazione libera e aperta con Gioia Maestro, conosciuta da poco: ostacolo che fu rimosso con un matrimonio celebrato il 19 aprile 1973 e concluso un anno e mezzo dopo.

Segretario della FGCI 
Nel 1975 Enrico Berlinguer stava cercando un successore per Renzo Imbeni alla guida della FGCI, per la quale voleva un nuovo corso: che la risollevasse dalla diminuzione degli iscritti e la portasse più vicina alla linea del Compromesso storico.
Il successore designato era Amos Cecchi, ma il suo protettore Carlo Alberto Galluzzi fu sostituito nella carica di supervisore della FGCI dall'amendoliano Gerardo Chiaromonte, amico di famiglia dei D'Alema, che scelse il futuro segretario fra D'Alema e Mussi, optando infine - dopo una cena informale coi due - per il primo, che pure non era formalmente iscritto all'organizzazione come previsto dallo statuto: la scelta di uno sconosciuto sembrò ai membri della FGCI un atto di forza e un attentato all'autonomia dell'organizzazione.
In quel periodo il motto della FGCI era "stare nel movimento": D'Alema cercò di mediare fra la sinistra extraparlamentare e il Partito per evitare una rottura definitiva, inizialmente senza risultati di rilievo. Per dare consistenza a questa prova di dialogo, si creò il settimanale Città futura, che arrivò a vendere 50.000 copie: era diretto da Ferdinando Adornato e ospitava articoli di persone dalle opinioni più varie, animato da Umberto Minopoli, Claudio Velardi, Giovanni Lolli, Goffredo Bettini, Marco Fumagalli, Walter Vitali, Giulia Rodano, Livia Turco, Leonardo Domenici: secondo D'Alema «l'ultima generazione di quadri del partito. Lì si formò un legame umano [...] quel tipo di solidarietà non si è spezzato, anche se abbiamo preso strade diverse». Il giornale chiuse poco dopo.
Tuttavia, dopo il rapimento di Aldo Moro nel 1978, la FGCI prese maggiormente le distanze dagli autonomi, scegliendo di emarginare i terroristi. D'Alema, tuttavia, cercò di recuperare parte del movimento proseguendo la propria opera di mediazione: ebbe occasione di parlare con Berlinguer, che era colpito personalmente dal conflitto generazionale, dato che il figlio Marco Berlinguer si era avvicinato a posizioni estremistiche: in un famoso discorso a Genova preparò alla rottura dell'unità nazionale, con un forte richiamo ai giovani, che «in fondo sono figli nostri», anche nelle esagerazioni. Ai tempi si ebbe l'impressione che Napolitano e Chiaromonte imputassero questa svolta a sinistra a D'Alema, che fu mandato in Puglia senza un incarico, come per punizione.

In Puglia
Il 19 marzo 1980 D'Alema arrivò a Bari, dove venne accolto dal segretario locale della FGCI, Renato Miccoli, con cui avrebbe convissuto per quasi quattro anni. Come primo atto da responsabile di stampa e propaganda acquistò la televisione locale TvZeta, finanziata anche con dei concerti. Poco dopo fu promosso responsabile dell'organizzazione. Come tale, partecipava a tutti i comizi, manifestazioni e incontri del partito, per costruire un rapporto diretto con la base del partito ed essere indipendente dal resto della dirigenza, che gli era ostile, ritenendo il suo arrivo un commissariamento.
I suoi discorsi inizialmente furono giudicati troppo freddi, ma presto apprese le tecniche oratorie e conquistò la base, così che quando, dopo le fallimentari amministrative del 1981 (vinte dai socialisti), il segretario regionale si dimise, egli fu eletto al suo posto: la sua rafforzata posizione aveva permesso a Berlinguer e Alessandro Natta di premere in suo favore senza esporsi eccessivamente.
Poco dopo, Berlinguer sferrò pesanti accuse al PSI e alla politica clientelare in generale (la cosiddetta questione morale), in particolare in un'intervista[10] a Scalfari ne la Repubblica del 28 luglio 1981. D'Alema si attestò sulla stessa posizione e cominciò una dura battaglia per impedire al PSI di fare della Puglia una solida base politica e di potere: la prima mossa fu ostacolare ogni alleanza locale fra PSI e DC; a questo scopo formò a Bari una giunta di sinistra col socialista Rino Formica, mentre in molti altri comuni si alleò colla DC. Infine, nonostante le resistenze interne al partito, strinse un'alleanza con la DC anche per la Regione.
Con questo curriculum, al congresso del 1983 fu eletto membro della direzione nazionale, assieme ad altri dirigenti locali come Piero Fassino, Giulio Quercini e Lalla Trupia.

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Il dopo Berlinguer 
Nel 1984, nonostante D'Alema fosse soltanto un giovane dirigente locale, Berlinguer lo portò con sé al funerale di Jurij Andropov, per dare un forte segnale di rinnovamento e, si ipotizzò allora, per prepararlo alla successione in un congresso di due anni dopo. Berlinguer però morì poco dopo e gli successe Alessandro Natta, una soluzione di transizione in vista dell'elezione a segretario di uno dei giovani selezionati da Berlinguer, tra i quali Occhetto e D'Alema erano quelli più in vista. Natta diede a D'Alema l'importante incarico dell'organizzazione, mentre Achille Occhetto, nel luglio del 1987, fu nominato vicesegretario.
Quando il 30 aprile 1988 Natta ebbe un infarto, D'Alema - che in quel periodo era direttore de l'Unità - a Italia Radio parlò per primo della successione, senza discuterne con lui. Nel frattempo Occhetto e D'Alema avevano spinto per modificare la linea del partito, rendendola più aggressiva verso il PSI di Bettino Craxi e più aperta verso un cambiamento del sistema politico imperniato sul maggioritario.
Fu eletto deputato per la prima volta nel 1987, nella circoscrizione Lecce-Brindisi-Taranto.

La nascita del PDS 
Nel 1990 concluse l'esperienza a capo de L'Unità: Occhetto aveva bisogno di lui per dare seguito alla svolta della Bolognina. D'Alema, da coordinatore della segreteria, si occupava dei rapporti con l'ala sinistra del partito ed era una garanzia di stabilità, per il suo essere un «figlio del partito» che non l'avrebbe mai tradito o gettato a mare; al contrario, Occhetto appariva voler approfittare della svolta per demolire parte della tradizione del partito con cui non era a proprio agio. Infatti nel suo libro Il sentimento e la ragione Occhetto scrive che D'Alema affrontò la svolta descrivendola come una "dura necessità", impostazione che strideva con la sua.
D'Alema divenne subito coordinatore della segreteria del neonato partito, acquistandovi una posizione eminente (anche grazie al controllo delle leve organizzative) e quasi facendo ombra a Occhetto, tanto da essere considerato il vicesegretario di fatto, cosicché, nell'aprile 1992, fu escluso dalla direzione per diventare capogruppo alla Camera (dopo essere stato capolista alle elezioni).
Contemporaneamente Walter Veltroni, responsabile della propaganda, fu promosso da Occhetto alla direzione de l'Unità.

La fine della prima Repubblica 
A maggio, nell'instabilità esacerbata dall'attentato a Giovanni Falcone, D'Alema preferì con Ciriaco de Mita la candidatura alla Presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro a quella di Giovanni Spadolini caldeggiata da Occhetto.
Quando si formò il primo governo Amato, D'Alema non votò la fiducia, ma cominciò una fase di dialogo e di collaborazione per superare le difficoltà politiche e finanziarie del momento: dopo la crisi del governo, D'Alema fu intervistato - primo ex comunista - dal giornale della DC Il Popolo. In quell'intervista accreditò l'idea di un governo sostenuto dai partiti riformatori ma guidato da un uomo nuovo: era il profilo di Romano Prodi, ma per quella fase si scelse di formare un governo tecnico guidato da Carlo Azeglio Ciampi, per cui giurarono anche dei pidiessini. Essi tuttavia si dimisero dopo che il Parlamento aveva negato ai magistrati l'autorizzazione a procedere contro Craxi; il PDS non votò la fiducia ma D'Alema mantenne dei contatti di collaborazione col governo.
In seguito alla vittoria del PDS alle amministrative del 1993 furono indette in anticipo nuove elezioni, che si tennero nel 1994: furono vinte da Silvio Berlusconi mentre D'Alema fu eletto nel collegio n. 11 della Puglia.

Segretario 
In seguito alla sconfitta elettorale, Achille Occhetto si dimise e, nella successione apertasi, sostenne Veltroni contro D'Alema. Eugenio Scalfari su la Repubblica suggerì di scegliere il segretario con un referendum, che la direzione del partito decise di tenere fra tutti i 19.000 dirigenti centrali e locali del partito.
Piero Fassino si occupava di promuovere la candidatura di Veltroni; Scalfari scriveva che se fosse stato eletto D'Alema non sarebbe cambiato nulla; esperti di immagine lo bocciavano; Giampaolo Pansa lo soprannominava «baffino di ferro» (riferimento a «baffone», nomignolo attribuito a Stalin), alludendo ad un suo presunto attaccamento ad una vecchia concezione del partito e della politica.
Al referendum parteciparono solo 12 000 aventi diritto, di cui circa 6 000 votarono per Veltroni e circa 5 000 per D'Alema; poiché nessuno aveva conseguito la maggioranza, la decisione fu rimandata al Consiglio nazionale, composto di 480 membri, che furono pressati da una parte da Fassino e dall'altra da Claudio Velardi (divenuto il più fedele collaboratore di D'Alema che conosceva fin dall'inizio della sua carriera parlamentare), aiutato da una squadra di dalemiani, quasi tutti ex esponenti della FGCI.
Il 1º luglio 1994 D'Alema fu eletto Segretario nazionale con 249 voti contro 173: secondo il diretto interessato, ciò avvenne perché il partito voleva un cambiamento rispetto alla politica di Occhetto, cui Veltroni era troppo vicino.
Come segretario del PDS D’Alema dà un contributo decisivo alla nascita de L'Ulivo, perseguendo, a differenza di Occhetto, una politica di alleanza con le forze di centro-sinistra di ispirazione cattolica, e accettando che fosse candidato primo ministro Romano Prodi, una figura più rassicurante per l’elettorato moderato, benché il PDS fosse nettamente la componente preponderante, dal punto di vista elettorale, all’interno dell’Ulivo.

L'Ulivo al governo â€‹

Il 21 aprile 1996, a seguito di una nuova tornata elettorale che vide prevalere la coalizione de L'Ulivo sul centro-destra, riconfermò il proprio seggio. Sotto la sua guida, nel 1996, il PDS diventò il primo partito nazionale (21,1%), prima e unica volta per un partito di sinistra in elezioni politiche (il PCI lo fu ma nelle elezioni europee del 1984)
Il 5 febbraio 1997 D'Alema venne eletto presidente della Commissione parlamentare bicamerale per le riforme istituzionali, dopo aver convinto l'allora capo dell'opposizione, Berlusconi, a sostenere la sua candidatura. Il 9 ottobre 1997, dopo che Rifondazione Comunista tolse l'appoggio al governo, Prodi si dimise temporaneamente. D'Alema sarebbe stato orientato verso elezioni anticipate, approfittando della difficoltà del Polo e della stessa Rifondazione. Prodi però riuscì a trovare un compromesso con Fausto Bertinotti e la crisi rientrò.
Il 9 ottobre 1998 cadde il governo Prodi, in seguito a una crisi provocata da Rifondazione Comunista, che patì anche la scissione del Partito dei Comunisti Italiani, contrari alla crisi di governo. Per la formazione di un nuovo governo con maggioranza di centro-sinistra, alcuni parlamentari centristi, guidati da Clemente Mastella e ispirati da Cossiga, si mostrarono disponibili a votare la fiducia, a patto che il presidente del consiglio non fosse Prodi; molti videro in questa richiesta una chiara indicazione di D'Alema come nuovo capo di governo. Scalfaro incaricò quindi D'Alema di formare il nuovo governo.

Governo D'Alema I 
Il primo esecutivo presieduto da Massimo D'Alema rimase in carica dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999.
D'Alema fu il primo esponente dell'ex PCI ad assumere la carica di presidente del Consiglio. Sostenne l'intervento NATO nella guerra del Kosovo, attirandosi così le critiche dell'ala pacifista della sua coalizione, anche perché bombardando Belgrado il primo esecutivo italiano a guida post-comunista rivelava fedeltà all'atlantismo di matrice DC, già interrotto da Craxi riguardo al "caso di Sigonella". Nell'ottobre 1999 venne annunciata una crisi di governo pilotata allo scopo di farvi entrare I Democratici, ma passarono due mesi perché si arrivasse al D'Alema bis.

Governo D'Alema II 
Il secondo esecutivo presieduto da Massimo D'Alema rimase in carica dal 22 dicembre 1999 al 25 aprile 2000.
Diede le dimissioni in seguito alla sconfitta alle elezioni regionali. In particolare D'Alema ricevette la delusione peggiore dalla vittoria nel Lazio di Francesco Storace, esponente di Alleanza Nazionale e candidato della Casa delle Libertà. Gli successe nella carica di premier Giuliano Amato, che prima ricopriva l'incarico di Ministro del Tesoro.
Durante il governo D'Alema II viene approvata la legge sulla Par condicio che regolava l'accesso ai mezzi d'informazione delle forze politiche. Si tratta dell'unico tentativo nel corso della seconda repubblica di limitare, dal punto di vista legislativo, la predominanza nel mondo dell'informazione di Silvio Berlusconi.

Opposizione 2001-2006 â€‹

Nel 2001 D'Alema si candida nel collegio di Gallipoli, ma non nella quota proporzionale, in polemica col suo partito[12]. Viene eletto alla Camera dei Deputati con il 51,49% dei consensi[13] e si iscrive al gruppo Democratici di sinistra - L'Ulivo. Dopo l'elezione al parlamento europeo del 2004, D'Alema il 19 luglio 2004 darà le dimissioni da deputato italiano.
Parlamentare europeo 
All'opposizione rispetto al secondo e al terzo governo Berlusconi, dal giugno 2004 al maggio 2006 è stato membro del Parlamento Europeo per la lista Uniti nell'Ulivo nella circoscrizione sud, eletto con 832 000 voti. È stato iscritto al gruppo parlamentare del Partito Socialista Europeo.

Il secondo governo Prodi​

Alle elezioni politiche del 2006, vinte della coalizione di centrosinistra, Massimo D'Alema è stato eletto deputato ed ha quindi rinunciato alla carica di Parlamentare europeo. È stato proposto in modo informale da L'Unione per la Presidenza della Camera dei deputati. Lo stesso D'Alema ha poi rinunciato a questo incarico per evitare possibili divisioni all'interno della coalizione e facilitando così la proposta e la successiva elezione di Fausto Bertinotti.
Nel maggio del 2006, alla scadenza del mandato di Carlo Azeglio Ciampi e dopo la rinuncia di quest'ultimo ad un possibile nuovo reincarico, è stato per alcuni giorni proposto in modo informale dal centrosinistra per la Presidenza della Repubblica. Data la divisione che il suo nome ha provocato nel mondo politico, l'Unione, dopo una nuova rinuncia di D'Alema, ha preferito convenire per il Quirinale sul nome di un altro esponente dei DS, Giorgio Napolitano, eletto presidente della Repubblica il 10 maggio 2006.
Il 17 maggio 2006 è stato nominato ministro degli Affari Esteri e vicepresidente del Consiglio nel Governo Prodi II. Durante il suo mandato hanno ricevuto una certa rilevanza nel 2006 l'intervento per una missione in pace in Libano, in collaborazione con la Francia, e in seguito l'impegno per la promozione di una moratoria presentata all'ONU sull'abolizione della pena di morte nel mondo.
Il 21 febbraio 2007 è stato chiamato in Senato a riferire sulle linee guida di politica estera del governo, dopo aver dichiarato pubblicamente che qualora non si fosse raggiunta la maggioranza sulla mozione il governo si sarebbe dovuto dimettere. L'esito della votazione seguita alla sua relazione (158 favorevoli, 136 contrari e 24 astenuti) ha visto battuto il governo (non essendo stato raggiunto il quorum di voti favorevoli necessario, pari a 160 voti), motivo per cui il presidente del consiglio Romano Prodi ha rassegnato le dimissioni. Rinnovata la fiducia al governo, D'Alema ha ripreso a ricoprire la carica di ministro degli Esteri fino alla caduta del Governo Prodi il 24 gennaio 2008.



​​Massimo D'Alema nel 2006
Da Ministro degli Esteri, il 18 dicembre 2007, ottiene un importante successo come promotore di una moratoria sulla pena di morte approvata per la prima volta nella storia dall'ONU (104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti) dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto per il mancato raggiungimento del quorum.

Altre cariche 
È membro della Conferenza dei presidenti di delegazione; della Commissione per il commercio internazionale; della Commissione per la pesca; della Commissione per gli affari esteri; della Sottocommissione per la sicurezza e la difesa; della Delegazione Permanente per le relazioni con il Mercosur; della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l'Unione del Maghreb arabo (compresa la Libia).
Nel dicembre 2000 è stato eletto presidente dei Democratici di sinistra (Ds); ha mantenuto la carica fino ad aprile 2007.
Nell'ottobre 2003, nel corso del 22º Congresso dell'Internazionale Socialista, tenutosi a San Paolo del Brasile, è stato eletto vicepresidente della stessa, carica che detiene tuttora.

Nel Partito Democratico 
Nel 2007 è stato uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito Democratico che ha riunito i leader delle componenti del Partito Democratico prima dell'avvio della sua fase costituente.
Attualmente è presidente della Fondazione di cultura politica Italianieuropei e fondatore del movimento politico ReD, sigla di Riformisti e Democratici, che ha suscitato non poche critiche da parte di esponenti dello stesso Partito Democratico evidenziando la possibilità che questa iniziativa potesse causare problemi allo stesso. D'Alema, considerato un'anima critica nei confronti della segreteria diretta da Walter Veltroni, ha comunque smentito qualsiasi ipotesi di nascita di correnti, dichiarandosi ad esse contrario.
Il 26 gennaio 2010, a seguito delle dimissioni di Francesco Rutelli, viene eletto all'unanimità Presidente del COPASIR.

Per le Elezioni politiche italiane del 2013 non si candida al Parlamento..

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