REPUBBLICA ITALIANA
dal Risorgimento ai twitt, dalle biografie dei politici di oggi alla Costituzione.
Alla scoperta della Repubblica Italiana e delle sue Istituzioni. In una chiave molto moderna.
Finanziamento pubblico partiti
Il finanziamento pubblico ai partiti è una delle modalità, assieme alle quote d'iscrizione e alla raccolta fondi, attraverso cui i partiti politici reperiscono i fondi necessari a finanziare le proprie attività. Il finanziamento pubblico esiste in diversi paesi. Nel Regno Unito c'è una legge del 1974, chiamata comunemente Short Money che assicura il finanziamento dei partiti di opposizione. In Australia il finanziamento pubblico è stato introdotto nel 1984 dal governo Hawke, con l'obbiettivo di ridurre l'influenza delle lobby sui partiti politici.
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Il finanziamento pubblico ai partiti in Italia
La legge Piccoli
Il finanziamento pubblico ai partiti è introdotto dalla legge Piccoli n. 195 del 2 maggio 1974, che interpreta il sostegno all'iniziativa politica come puro finanziamento alle strutture dei partiti presenti in Parlamento, con l'effetto di penalizzare le nuove formazioni politiche. Il flusso di fondi ha anche l'effetto di rafforzare gli apparati burocratici interni dei partiti e disincentivare la partecipazione interna.
Proposta da Flaminio Piccoli (DC), la norma viene approvata in soli 16 giorni con il consenso di tutti i partiti, ad eccezione del PLI.
La nuova norma si giustifica in base agli scandali Trabucchi del 1965 e petroli del 1973: il Parlamento intende rassicurare l'opinione pubblica che, attraverso il sostentamento diretto dello Stato, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusione e corruzione da parte dei grandi interessi economici. A bilanciare tale previsione, si introduce un divieto - per i partiti - di percepire finanziamenti da strutture pubbliche ed un obbligo (penalmente sanzionato) di pubblicità e di iscrizione a bilancio dei finanziamenti provenienti da privati, se superiori ad un modico ammontare.
Ciò risulta tuttavia smentito dagli scandali affiorati successivamente (tra cui i casi Lockheed e Sindona).
Nel settembre 1974 il PLI propone un referendum abrogativo sulla norma ma non riesce a raccogliere le firme necessarie.
Il fallito referendum abrogativo del 1978
L'11 giugno 1978 si tiene il referendum indetto dai Radicali per l'abrogazione della legge 195/1974.
Nonostante l'invito a votare "no" da parte dei partiti che rappresentano il 97% dell'elettorato, il "si" raggiunge il 43,6%, pur senza avere successo.
Secondo i promotori del referendum lo Stato deve favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario per fare politica, non garantire le strutture e gli apparati di partito, che devono essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti.
Le prime modifiche negli anni '80
Nel 1980 una proposta di legge vorrebbe introdurre il raddoppio del finanziamento pubblico, ma viene messa da parte al momento dell'esplosione dello scandalo Caltagirone, con finanziamenti elargiti dagli imprenditori a partiti e a politici.
La legge n. 659 del 18 novembre 1981[3][4] introduce le prime modifiche:
i finanziamenti pubblici vengono raddoppiati;
partiti e politici (eletti, candidati o aventi cariche di partito) hanno il divieto di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica;
viene introdotta una nuova forma di pubblicità dei bilanci: i partiti devono depositare un rendiconto finanziario annuale su entrate e uscite, per quanto non siano soggetti a controlli effettivi.
I Radicali manifestano in aula parlamentare con tecniche di ostruzionismo per bloccare la proposta di indicizzazione dei finanziamenti e a ottenere maggiore trasparenza dei bilanci dei partiti nonché controlli efficaci.
Il referendum del 1993 e l'abrogazione della norma
Per approfondire, vedi Referendum abrogativi del 1993 per l'abrogazione del finanziamento ai partiti.
Il referendum abrogativo promosso dai Radicali Italiani dell'aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che succede allo scandalo di Tangentopoli.
La reintroduzione dei "rimborsi elettorali" nel 1994
Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993[5][6], la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l'intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro.
La stessa norma viene applicata in occasione delle successive elezioni politiche del 21 aprile 1996.
Il parlamento modifica la norma, con l'art 5 della legge n° 96 del 6 Luglio 2012, e obbliga un partito o un movimento ad avere uno statuto per aver diritto di ricevere i rimborsi elettorali.
Il 4 per mille ai partiti politici (1997)
La legge n. 2 del 2 gennaio 1997[7][8], intitolata "Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici" reintroduce di fatto il finanziamento pubblico ai partiti.
Il provvedimento prevede la possibilità per i contribuenti, al momento della dichiarazione dei redditi, di destinare il 4 per mille dell'imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (pur senza poter indicare a quale partito), per un totale massimo di 56.810.000 euro, da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. Per il solo anno 1997 viene introdotta una norma transitoria che fissa un fondo di 82.633.000 euro per l'anno in corso.
Il Comitato radicale promotore del referendum del 1993 sull’abolizione del finanziamento pubblico tenta il ricorso rispetto al tradimento dell’esito referendario, ma pur essendo stato riconosciuto in precedenza come potere dello Stato, gli viene negata dalla Corte Costituzionale la possibilità di depositare tale ricorso.
Sempre la legge 2/1997 introduce l'obbligo per i partiti di redigere un bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto economico, il cui controllo è affidato alla Presidenza della Camera. La Corte dei Conti può controllare solo il rendiconto delle spese elettorali.
L’adesione alla contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai partiti resta minima.
La legge n. 157 del 3 giugno 1999, Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici, reintroduce un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l'erogazione viene interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge entra in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001.
La normativa viene modificata dalla legge n. 156 del 26 luglio 2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all'1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa più che raddoppia, passando da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro.
Infine, con la legge n. 51 del 23 febbraio 2006: l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è esponenziale. Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV Legislatura della Repubblica Italiana e alla XVI Legislatura della Repubblica Italiana.
A seguito degli scandali che 2012 hanno toccato il tesoriere della Margherita e quello della Lega Nord, il dibattito è stato riaperto e approdato in Parlamento con diversi progetti di legge.
Fra le critiche mosse alla completa abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, è la dipendenza della politica dai gruppi di pressione e il costo sociale legato a leggi ad personam, a volte contrarie al bene comune, che vengono approvate per compensare generosi contributi elettorali. Questa prassi può essere ridotta dalla pubblicazione delle donazioni e da un importo massimo a queste ultime.
Il referendum del 2000
Nel 2000 un ulteriore referendum promosso dai Radicali propone l'abolizione della legge sui rimborsi elettorali. I referendum del 2000 non raggiungono il quorum e, in particolare, quello sull'abolizione dei rimborsi elettorali viene votato solo dal 32,2% degli aventi diritto, mantenendo quindi la legge vigente.
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